La multinazionale dell’intrattenimento Disney – purtroppo lo sappiamo – non è ormai nuova a “svolte” Lgbt. Sempre più spesso, infatti, tra parate arcobaleno, personaggi gay friendly e dirigenti stessi apertamente a favore di queste tematiche, l’azienda statunitense si è resa protagonista di continui bombardamenti in salsa “rainbow”. Si tratta di operazioni che hanno come unico obiettivo la propaganda ai danni dei più piccoli, per far entrare sempre di più la cultura Lgbt nella mente di ognuno. Ultimo caso, ormai già noto ai più, la scena del bacio gay all’interno del film d’animazione Lightyear. La vera storia di Buzz, film prequel del più famoso Toy Story. Eppure si può ancora fare qualcosa e non tutto è perduto. Pro Vita & Famiglia ne ha parlato con Alberto Contri, manager con oltre cinquant’anni di esperienza nel settore della comunicazione, past president della Fondazione Pubblicità Progresso e docente universitario di Comunicazione Sociale. Con l’occasione, Contri ha espresso la sua adesione alla petizione di Pro Vita & Famiglia avente ad oggetto proprio l’ultimo film disneyano.
Professor Contri, che effetti possono avere, secondo lei queste produzioni sulla psiche dei minori?
«Un paio d’anni fa, ho pubblicato il saggio La sindrome del criceto. Una malattia che blocca il Paese. Una proposta per rimetterlo in moto (La Vela, 2020), in cui accennavo al fatto che l’industria dell’informazione e, in particolare, dell’intrattenimento, quando comincia a veicolare determinati valori o disvalori, diventa come uno schiacciasassi. Il pubblico non si aspetta di vedersi proporre determinati stili di vita ma li assorbe in maniera inconscia: a maggior ragione, questo fenomeno si manifesta tra i bambini. In questa categoria di prodotti si può inserire anche Euphoria di Sky, una serie tv il cui autore aveva detto: “Questa serie farà andare fuori di testa molti genitori”. Quindi, a monte, c’era proprio un proposito “pedagogico”: si insegna, ad esempio, alle ragazzine come mentire alle madri, quando le sottopongono all’esame delle urine per vedere se sono drogate, e loro si portano nel reggicalze un boccettino d’urina di una compagna. Cose davvero pazzesche! Nello stesso libro citavo anche quei festival non aperti al pubblico ma rivolti ai soli produttori, ai quali hanno partecipato associazioni che si lamentavano degli scarsi contenuti lgbt nelle serie per bambini, dove, peraltro, c’erano serie intitolate all’unicorno, a “Lilly con due papà” e cose del genere».
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E a livello socio-antropologico che conseguenze possono portare?
«Senza entrare minimamente nel giudizio morale su determinati comportamenti, non è però lecito promuovere uno stile di vita che effettivamente ci porta a non generare più figli. Si può dire che i figli nascono da un uomo e da una donna? Se non nascono da un uomo e da una donna, nascono da metodi che sono una schiavitù per la donna, come l’utero in affitto. La cosa grave è quando l’industria dell’informazione si impossessa di determinate proposte e stili di vita che sono assolutamente contrari alla riproduzione della specie. Già siamo in grave crisi demografica: avallare determinati comportamenti, vuol dire finire in un cul de sac. Così facendo, tra 50 anni non ci saranno più gli LGBT+, né nessun altro… A meno che non si vada avanti con modalità di riproduzione che sono ritenute contrarie al rispetto delle donne. C’è comunque un terzo aspetto che mi viene spontaneo notare…».
Dica pure.
«Osservando i vari premiati agli ultimi Oscar, ho visto che ha avuto luogo la solita propaganda da parte di due o tre attori lgbt, che hanno inneggiato alla loro categoria, definita maltrattata (quando, almeno in America, maltrattati non sono…). Avrei voluto vedere se, tra i premiati, qualcuno avesse inneggiato alle famiglie naturali, così come si fa per le famiglie arcobaleno. Eppure, per una strana eterogenesi dei fini, nonostante ai festival dei produttori, c’è chi propone di aumentare i contenuti arcobaleno, il film che ha vinto agli Oscar, Coda, è proprio un inno alla famiglia “tradizionale”. Sta succedendo qualcosa di strano, si sta arrivando a una saturazione nel proporre uno stile di vita improntato alla fluidità di genere, come se fosse una cosa del tutto normale. La fluidità di genere porta a un essere umano senza storia e senza tradizione, che non sa cosa la natura ha stabilito per lui».
Pro Vita & Famiglia ha lanciato una petizione contro la scena gay friendly nel film Light Year. La vera storia di Buzz. Strumenti come le raccolte di firme possono essere utili?
«Firmerò volentieri la vostra petizione. Quando questi prodotti arrivano sugli scaffali dei dvd o, addirittura, tra i canali dedicati a cartoni animati, ormai la frittata è fatta. Le petizioni servono tuttavia a far capire che ci sono voci contrarie. Sia dal punto di vista della pubblicità che della produzione, i produttori sono molto attenti alla sensibilità del pubblico; quindi, se il pubblico mostra un rifiuto, bisogna far sapere che molte famiglie sono contrariate».
Fino a non molto tempo fa, la Disney era nota per i suoi messaggi edulcorati, edificanti e totalmente privi di ambiguità. Cos’è successo in seguito?
«È successa una cosa molto semplice. Tanti personaggi della Silicon Valley, guarda caso tutti “arcobaleno”, sono approdati alle grandi imprese e alcuni sono arrivati ai vertici delle principali multinazionali, soprattutto nell’ambito della comunicazione. Non c’è azienda – Procter & Gamble, Microsoft, IBM – che non faccia corsi di gender per i figli dei dipendenti. Due anni fa, scrissi un articolo su Avvenire, in cui facevo un appello ai grandi brand, dicendo: vi rendete conto che state segando il ramo su cui siete seduti? A chi venderete i pannolini tra 20 anni? Un conto è rispettare gli stili di vita delle persone, altro è promuoverli. Invece si è arrivati a follie, come togliere il simbolo di Venere dai prodotti dell’igiene intima con la scusa che “anche i maschi possono mestruare”. È una deriva contro la quale bisogna assolutamente combattere, quindi ben venga una petizione come quella di Pro Vita & Famiglia, sempre in prima fila in queste battaglie».
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