Perdita del senso del sacro e un aumento della banalizzazione del sacro

In questi ultimi tempi, stiamo vivendo una vera e propria perdita del senso del sacro e un aumento della banalizzazione del sacro. Quando parliamo di non nominare il nome di Dio invano, mi riferisco ad una generazione che non ha avuto una vera esperienza con il divino. La vocazione travolgente che portava a non calcolare orari, soldi, tempo, per alcuni è diventata professione; serviamo il Signore, a volte, per abitudine, per riti, per liturgie. Noi viviamo in una nazione che è stata visitata, benedetta e ha una storia cristiana gloriosa, anche con quella eretica cattolica o con quella evangelica.

Nel 1200, i valdesi iniziarono un percorso di ritorno alla Parola di Dio, che li rese perseguitati per otto secoli; gli anabattisti – di cui pochi hanno sentito parlare – che avevano comunità fiorenti nella Repubblica di Venezia, in Trentino Alto Adige, in Emilia Romagna, fino in Toscana, furono spazzati via dalla controriforma, dalla “santa” inquisizione, che di santo aveva ben poco, in realtà era il braccio armato della chiesa cattolica. Ma anche i metodisti e il movimento pentecostale vissero la persecuzione, quando nel 1935, videro chiudersi tutte le loro chiese. All’epoca, diventare credente implicava, non solo rischiare l’arresto, la detenzione in carcere, essere mandati al confino, ma si rischiava di venire licenziati; e la maggior parte di quei credenti era formata di soli braccianti, contadini, si rischiava di rimanere ai margini della società. Ma, costoro erano determinati, avevano toccato il soprannaturale, molti di loro rimasero fedeli di fronte a molte tribolazioni; oggi, invece, di fronte ai primi ostacoli, facilmente molti si tirano indietro dalla fede.

Se dovessimo prendere un innario di canti del 1800 in qualche chiesa all’antica e leggessimo attentamente i contenuti dei cantici, noteremmo quanto diversi sono dai cantici del giorno d’oggi. La parola che ritorna di più è “soffrire per Gesù”, come dice l’apostolo Paolo ai Filippesi (1:27), “a noi è dato il privilegio non solo di credere, ma anche di soffrire per il Signore Gesù Cristo”; oggi, le cose sono molto cambiate; non si canta molto più di soffrire per Gesù, ma di godere per mezzo di Gesù. Siamo subentrati in una teologia immanente, che cerca realizzazione, felicità, appagamento, ricchezza, benedizione qui sulla terra, in un trionfalismo che non appartiene alla storia della chiesa cristiana. E dobbiamo anche prendere atto come in Italia, che ha una storia gloriosa, ahimé, sono arrivate queste dottrine perverse, come l’ipergrazia, che è una distorsione abominevole della grazia di Dio, che introduce una spiritualità gaudente, che ignora i sacri confini della Parola di Dio e la necessità di considerare una vita santa al di sopra del peccato. Anche in Italia è arrivato quello che in America ha un grande successo e chiamano “Vangelo del benessere e della ricchezza”.

Tutti sappiamo che Dio provvede il pane quotidiano, tutti i credenti sanno che Dio si prende cura di noi e ci aiuta nelle difficoltà; i Pentecostali hanno sempre pregato per guarigioni e miracoli e hanno visto la mano di Dio all’opera potentemente, ma quando prendiamo una verità evangelica e la portiamo all’estremo – come nel “Vangelo della prosperità”, diventa un eresia che ci porta fuori strada. Queste forme teologiche nuove riducono Dio ad una specie di Babbo Natale; non siamo più noi al suo servizio, ma è Lui al nostro servizio, e Lui deve ubbidire a tutti i nostri capricci, a tutti i nostri desideri. Noi viviamo in un’epoca in cui la Parola di Dio sta venendo contaminata dalla psicologia. Infatti, ascoltando molti sermoni che passano anche in queste famose emittenti televisive cristiane, sembra di essere ad un seminario motivazionale, frequentato da imprenditori, da manager, in cui si predica la ricerca di benessere, di successo, la realizzazione di autostima, di equilibrio; ma molte volte questa non è la condizione nella quale noi ci ritroviamo. E forse, la deviazione più grave che la psicologia sta portando all’interno della Parola di Dio inquinandola, è la trasformazione di concetti basilari come quello del peccato, che oggi non è più visualizzato come colpa, trasgressione della legge di Dio, ma come malattia, e il peccatore non è più colpevole, è una vittima di abusi, di traumi, dove l’ego ferito dev’essere curato, compreso, coccolato, intrattenuto. Non dice questo la Bibbia!

La Bibbia dice che l’ego deve essere crocifisso! Il vecchio uomo deve morire, affinché l’uomo nuovo possa rinascere. E questo, purtroppo, ha prodotto una generazione di credenti fragili, manipolabili, che devono essere continuamente rassicurati, che sviluppano una dipendenza psicologica – come quelli che vanno sempre dall’analista, o dall’astrologo, o dal pastore che ha già tanti impegni e deve rassicurarci; o peggio ancora, da tutta quella schiera di “operatori del sacro” che si sono fatti da sé, che si sono messi in proprio, che si presentano sul web, su Facebook, su internet come oracoli prestigiosi di Dio, persone che non hanno fatto il percorso legittimo per sviluppare i fondamenti, e sto parlando del carattere cristiano, che si forma attraverso il deserto, passando per la croce, maturando con pazienza nell’autodisciplina e nell’attesa.

Ora, non abbiamo più tempo, puntiamo dritti al carisma che dev’essere messo in scena, deve essere esibito in un protagonismo a volte ridicolo; e con facilità, senza aver interiorizzato la Parola, che è veramente il confine che i nostri padri ci hanno trasmesso, con facilità pontifichiamo, profetizziamo, creando una tendenza morbosa nelle persone. E quante volte, si sente l’abuso di questa parola, la più abusata nella chiesa pentecostale e carismatiche: “Così dice il Signore!”, oppure l’altra analoga: “Sento da parte del Signore!”. Sono frasi comuni nell’ambito pentecostale, alle quali dovremmo fare molta attenzione quando menzioniamo il nome del Signore. Spesso ci poniamo come oracoli di Dio, ma molto spesso diciamo i nostri pensieri, le nostre opinioni, le nostre simpatie e le nostre antipatie, che vengono dalla nostra carne. Con questo non voglio sminuire il valore delle profezie, ma oggi c’è un’inflazione di parole profetiche, che – come dice Geremia – non porta il popolo ad un vero allontanamento dal proprio peccato e un avvicinamento al ravvedimento, ma lo accomoda nella propria condizione di decadimento più totale.

– Evangelista Vittorio Fiorese

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