Ogni professionista della salute mentale riconosce la stretta relazione tra repressione e frustrazione. Una vita vissuta nella quotidiana repressione ad essere sé stessi, comporta un enorme grado insoddisfazione. Manifestandosi nella mancanza di senso, nella depressione, nel sentirsi vuoti e insignificanti. E il professionista clinico della salute mentale non può non cogliere le affermazioni dei tanti pazienti depressi: “niente ha senso”; “la mia vita è finita”; non vale la pena vivere”; ho tutto eppure non sono felice”. Sono queste affermazioni che delineano la vera nevrosi dell’uomo moderno. Lo riconosce lo psichiatra e psicologo svizzero Carl Gusta Jung, quando afferma che: “La nevrosi è in ultima analisi una sofferenza della psiche che non ha trovato il proprio significato” (C.G. Jung, Opere XI, p. 314), e ancora: “La nevrosi è un tentativo, talvolta pagato a caro prezzo, di sfuggire alla voce interiore e quindi alla propria vocazione […]. ……. Nevrotico è l’uomo che ha perso l’amor fati; colui, invero, che ha fallito la sua vocazione […] ha mancato di realizzare il significato della sua vita”, (C. G. Jung, Lo sviluppo della personalità,1932, XVII, pp. 183-184). Se nevrotico è l’uomo che ha fallito, rimosso la propria vocazione, allora, una ricerca di essa diventa la “cura” della nevrosi dell’uomo moderno il quale ha disimparato a inseguire i propri sogni, le proprie inclinazioni; ritrovare la propria strada, incamminarsi verso i sentieri della propria missione a cui tutti siamo chiamati (P. Riccardi, Ogni vita è una vocazione Per un ritrovato benessere ed. Cittadella Assisi 2014). La nostra vita è una continua missione che trova riscontro nella forza di mettere alla prova i propri talenti, come ci ricorda l’antropologia cristiana nella parabola dei talenti (Mt 25,14-30). All’inizio di essa, si legge: «Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni». Chiamare e consegnare sono gli inviti stimoli al concretizzare la missione; sono gesti di affidamento, che Dio affida ad ognuno a riguardo della realizzazione della propria missione. La non realizzazione di essi si ricade in una vita repressa e senza senso. Come ha evidenziato lo psichiatra viennese, Viktor Emil Frankl, quando ha ribadito: «Le forme di nevrosi di oggi, in molti casi, sono da ricondursi ad una frustrazione esistenziale, ad una mancata realizzazione dell’aspirazione umana verso un’esistenza il più possibile significativa» (Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana, Brescia, 2001 p.13). Pertanto, penso, che ogni vita piena coincida con la realizzazione del proprio progetto di vita per i quali si è avuto in dono i talenti per attuarlo. (Riccardi. P., “Ogni vita è una vocazione; per un ritrovato benessere”, ed. Cittadella Assisi 2014).
Ora, le ricerche delle neuroscienze affermano che un alto livello di insoddisfazione nella vita determina, non solo atteggiamenti depressi e demotivazione con irritabilità e insofferenza ma anche infelicità esistenziale. La mentalità dell’uomo moderno, paradossalmente, è rendersi la vita infelice nel momento che non si sofferma a riflettere sui talenti ricevuti e che albergano nel profondo di sé stesso.
La parabola dei talenti, vista anche con gli occhi di chi, come me, è uno psicologo e psicoterapeuta cristiano, è un emblematico monito a riconoscere e godere delle proprie capacità. Noi pensiamo che la vita spesso sia ingiusta solo perché magari non abbiamo quello che un altro ha o magari non siamo come il tal dei tali. In realtà se vediamo la vita sotto l’aspetto spirituale, in un disegno più spirituale, la vita ci mette avanti ciò che è pane per i nostri denti. Se poi, magari, vogliamo mangiare di bocconi più grandi della nostra bocca, allora la vita ci appare dura e ingiusta. Io credo che c’è sempre un’armonia nella natura delle cose. Spesso poi diciamo che Dio è ingiusto, ma riflettiamo anche di quanto ha detto all’uomo Abramo: «io metto davanti a te il bene e il male sta a te scegliere» (Dt 30, 15). È nella responsabilità di ognuno la sua strada, la sua missione la sua vocazione il suo manifestare i propri talenti (Riccardi P., “parole che trasformano, psicoterapia dal vangelo” ed. Cittadella Editrice, 2016). E se imparassimo a dire, Grazie Signore, per ciò che mi metti avanti, forse ci renderemmo conto che essere più intelligenti, più belli, più bravi, avere più potere non conta quanto conta l’accettazione di essere quello che si è.
Pasquale Riccardi
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