Un ex rifugiato siriano esorta i giornalisti chiedendo loro di «Evitare una narrativa fuorviante: ossia quella che dipinge i rifugiati che “riescono nella vita»” nonostante “siano rifugiati” e/o “malgrado il (loro) passato sia stato, o sia”». Insomma a «riconoscere che le persone costrette a fuggire dalle loro terre d’origine hanno un bagaglio ricco di esperienze e dalle quali poter attingere».
Il fatto che i media si concentrino solo «sul nostro essere percepiti soltanto come rifugiati è duro da digerire, per me c’è molto di più», dice Wedad Dabbas (di 27 anni) in occasione di un panel internazionale nel quale si è discusso di rappresentazione mediatica, di immagini e di stereotipi in tema di rifugiati e richiedenti asilo. Un incontro che si è tenuto lo scorso 14 gennaio.
La discussione era parte del progetto «Cambiare la narrativa: programma di formazione interregionale sulla copertura mediatica di rifugiati e migranti», iniziativa lanciata dalle reti regionali dell’Associazione mondiale per la comunicazione cristiana (Wacc).
L’Associazione per la comunicazione opera in Europa, nel Medio Oriente e in Africa e al programma hanno partecipato, appunto, dodici giornalisti e professionisti dei media provenienti dall’ Africa, dall’Europa e dal Medio Oriente.
Essere rifugiato è stata «una delle esperienze più dure della mia vita e riviverla ogni volta nel racconto è frustrante», afferma Dabbas che oggi vive in Danimarca (da otto anni) dove lavora presso un’azienda farmaceutica internazionale nel dipartimento comunicazione, diversità e inclusione. Dabbas (laureato) e oggi membro del programma di formazione per giornalisti rifugiati dell’Unhcr.
Amloud Alamir è invece una giornalista siriana ed è caporedattrice a Berlino, «il mio mestiere è un ponte tra le persone di nazionaliità tedesca e i migranti e i rifugiati. Un’occasione preziosa che mi è stata data anche per contrastare le possibili paure tra le parti».
Lavora presso Amal, Berlin!, una piattaforma di notizie locali in arabo e farsi.
«I contatti con politici e intellettuali di Berlino mi mette in una posizione davvero unica. Posso far sentire e diramare voci tra le diverse comunità».
Alamir, fuggito in Germania dalla Siria nel 2011, fornisce informazioni e consigli ai neo giornalisti immigrati a Berlino e pubblica regolarmente sui media tedeschi e internazionali notizie dedicate all’integrazione e all’inclusione.
Anche Thembi Wolf, editor della rivista online krautreporter.de, ha ricordato ai partecipanti: «Il punto non è l’inclusione o il colore della pelle, la provenienza. Il vero focus dovrebbe essere la storia collettiva e individuale che ciascuno di noi vive in questo tempo».
Sarah Schafer, alto funzionario delle comunicazioni dell’Unhcr, ha rilevato: «Il nostro sogno è quello che i giornalisti e professionisti che hanno dovuto affrontare fughe forzate possano oggi lavorare nei principali media, e di tutto il mondo coprendo non solo le questioni relative al tema rifugiati e migranti, ma che si posano occupare in particolar modo delle loro specifiche conoscenze professionali: ossia di politica, di cambiamento climatico, di moda, di storia, di cultura, di musica, di medicina».
Cambiare la narrativa: programma di formazione interregionale sulla copertura mediatica di rifugiati e migranti, dunque, mira a aiutare i giornalisti a poter fare il proprio mestiere secondo le loro competenze e chi si occupa nello specifico di comunicazione migratoria a trattare il tema rifugiati e migranti in modo etico e accurato; infine, a contrastare l’incitamento all’odio; consentire a rifugiati e migranti di parlare a loro nome; e rafforzare le Ong.
Il progetto è sostenuto con i fondi di Otto per mille della Chiesa Valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi.