Tra i volti dei conflitti etnici rinfocolati dal golpe del 1 febbraio ci sono anche gli ordigni messi al bando dalla comunità internazionale che l’esercito birmano continua a utilizzare. Negli Stati Shan, Rakhine e Kachin il numero maggiore di esplosioni, 15 i bambini rimasti uccisi.
Yangon (AsiaNews/Agenzie) – Nei primi nove mesi del 2021 le mine antiuomo in Myanmar hanno ucciso 65 persone, tra cui 15 bambini. A renderlo noto sono alcuni dati diffusi dall’Unicef, che parlano di un totale di 192 vittime: oltre ai morti vi sono stati anche altri 127 feriti. Le vittime causate dalle mine non sono purtroppo una novità per il Myanmar: Yangon non aderisce infatti al Trattato di Ottawa che nel 1999 ha messo al bando questi ordigni, che sono disseminati in maniera massiccia dall’esercito birmano.
La situazione politica venutasi a creare dopo il golpe del 1 febbraio scorso ha portato all’acuirsi dei conflitti con le milizie etniche. Anche per questo è soprattutto negli Stati Shan (nella parte orientale del Paese), Rakhine (dove sono presenti i Rohingya) e Kachin (ai confini con l’India) che si concentra il maggior numero di incidenti, crescono anche in altre parti del Paese.
Nel frattempo l’inasprirsi degli scontri fa crescere l’emergenza umanitaria: secondo gli ultimi dati diffusi dall’Ocha, l’ufficio delle Nazioni Unite per le emergenze umanitaria, sono 223mila gli sfollati interni causati dall’instabilità iniziata nel mese di febbraio. Crescono in particolare nello Stato Chin, un’altra zona occidentale del Paese gravemente colpita dai combattimenti.
Le testimonianze sulle sofferenze della popolazione civile del Myanmar – ostaggio della repressione e della guerra – saranno al centro della serata promossa dal Centro Pime e dalle suore della Riparazione per mercoledì 10 novembre alle 21 a Milano (diretta streaming a questo link).
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