Il grande dissidente cinese commenta le nuove repressioni imposte dal governo di Xi Jinping alla libertà di espressione e attacca il regime comunista, interessato soltanto a salvaguardare i propri privilegi mentre continua a violare i diritti della popolazione: “Sono più sfacciati persino di Mao Zedong”. Washington (AsiaNews) – La legge contro i blogger voluta con forza dal presidente cinese Xi Jinping “è più vergognosa delle persecuzioni avvenute durante la Rivoluzione culturale, perché non finge neanche di essere al servizio del popolo. Essa è il solo modo con cui il Partito può mantenere salda la sua dittatura autocratica”. È il senso del commento di Wei Jingsheng, autore del “Muro della democrazia” e grande attivista per i diritti umani in Cina, alla nuova norma che punisce con il carcere “chi diffonde pettegolezzi” sulla Rete.
A farne le spese per primo è stato un adolescente di 16 anni, Yang Hui (v. foto), arrestato per aver pubblicato un commento su un caso di cronaca in cui era implicata la polizia del Gansu. Le autorità provinciali lo hanno rilasciato dopo una settimana di detenzione, ma il ragazzo è stato ora espulso da scuola. Nel frattempo il governo, per attirare capitali internazinoali nel Paese, ha invece “aperto” internet agli stranieri che decideranno di lavorare nella nuova Zona di libero commercio di Shanghai.
Secondo Wei Jingsheng “il controllo esasperato sulla libertà di espressione è il segno che Xi Jinping è più sfacciato di Mao Zedong, e che l’unico scopo del suo governo è salvaguardare i privilegi della sua classe”. Riportiamo di seguito il testo integrale del commento (traduzione a cura di AsiaNews).
Qualche tempo fa, in risposta all’appello fatto dal leader comunista Xi Jinping, il governo cinese ha lanciato una campagna per “ripulire” internet. Nonostante sia appena iniziata, la campagna ha già una portata simile a quella della Rivoluzione culturale. Tuttavia, agli inizi della Rivoluzione culturale, non si sono verificati casi in cui la polizia prendeva una persona e la sbatteva in carcere. A quel tempo, quello che facevano era usare una serie di sofismi per nascondere la propria irragionevolezza; con il tempo, in maniera graduale, sono divenuti del tutto irragionevoli. All’epoca comportarsi in questo modo era una vergogna, quindi usavano una scusa – “il popolo vuole vedere i cattivi in prigione” – per poter agire al di fuori dello stato di diritto. Non era come oggi, in cui la legge può essere infranta alla luce del sole.
La decisione presa da Xi Jinping di riportare indietro le lancette dell’orologio ha ricevuto molta attenzione non solo all’interno della Cina, ma nel mondo intero. Diversi media stranieri hanno commentato in maniera negativa questa scelta: fra questi vi sono anche alcuni giornali che sono vicini ai comunisti. Perché avviene questo? Probabilmente la situazione si potrebbe descrivere con un vecchio proverbio cinese: “Quando i conigli vengono uccisi, anche le volpi sono tristi e impaurite”. A parte un gruppetto di falchi che lavora per il regime comunista, tutti coloro che operano nel campo dei media hanno una istintiva antipatia nei confronti delle incriminazioni che nascono dalla libertà di espressione.
Perché hanno questa antipatia istintiva? Possiamo metterci nei loro panni in quanto operatori dei media o scrittori. Quando non possono scrivere articoli o commentare notizie su internet in maniera libera, quando devono pesare con cura le proprie parole per essere sicuri di non offendere nessuno, quando il rischio da pagare è il carcere, non ci si sente in una situazione scomoda? Non ci si sente disgustati? Come si potrebbe scrivere la verità? Come si potrebbero scrivere buoni articoli?
Quindi questi scrittori non amano la censura in maniera istintiva, mentre alcuni funzionari la pensano al contrario. Lo slancio dato da Xi Jinping al movimento censorio in Cina rappresenta un rafforzamento dell’autocrazia comunista. Siamo davanti all’istinto naturale di tutti i governanti autoritari, non è un fattore limitato a un movimento culturale tirannico.
Guardando indietro alla nostra storia scopriamo che non solo noti dittatori come Mao Zedong e Adolf Hitler, ma anche i bulletti e le mezze cartucce trovano delle scuse adeguate per il loro comportamento malvagio. Questa volta il movimento culturale tirannico è iniziato con il pretesto di ripulire internet: questo è in un certo senso un motivo comprensibile. Da migliaia di anni a questa parte, usare pettegolezzi o voci incontrollate è stato un mezzo molto sinistro di gestione del potere, ma anche un atto malvagio che la gente perbene odia.
Tuttavia, e molte persone al mondo hanno paura di questi “tuttavia”, questa pulizia di internet dai pettegolezzi lanciata dal regime comunista è davvero tesa a salvaguardare l’interesse pubblico? Se la osserviamo da vicino, non pare così. Parlando di “pettegolezzi”, sappiamo che lo stesso Partito comunista li ha usati per decenni senza temere che questi potessero far crollare il cielo. Perché il regime non inizia le sue pulizie partendo da quelle voci, più importanti e più cattive, invece di prendersela con un ragazzino che va ancora a scuola?
Per diventare ancora più arroganti di Mao Zedong, i membri del regime comunista hanno reso il “diffondere pettegolezzi” un crimine. Ma molte persone che raccontano storie le ritengono reali, e ne parlano per curiosità. Un vecchio proverbio cinese dice: “Per chi non sa di compierlo, non c’è crimine”. Oggi, invece, persino chi non lo sa può diventare un criminale. Ma che logica è questa? Questa soppressione della libertà di parola è ancora più pesante di quella imposta dalla Rivoluzione culturale, e potrebbe essere comparata con il modo in cui il re Zhou You, più di duemila anni fa, condannava i sudditi che parlavano troppo.
In tutte le società, antiche e moderne, ci sono state leggi e istituzioni che hanno vigilato per cercare di fermare le voci nocive. Ma la sfida è definire cosa sia una “voce nociva”. Il significato originale della parola “pettegolezzo”, in lingua cinese, è quello di “informazione o argomento diffuso fra la gente”. Alcuni di questi argomenti potrebbero essere accurati, mentre altri potrebbero non esserlo; alcuni potrebbero essere giustificati, mentre altri potrebbero essere infondati; alcuni potrebbero essere dannosi, altri solo triviali. Se tutte le voci incontrollate sono usate per punire, allora le persone farebbero prima a tapparsi la bocca con il nastro adesivo.
Molte nazioni hanno già una serie di leggi importanti – a tutela della reputazione, contro le violazioni della privacy, eccetera – definite in maniera chiara e che servono per proteggere i diritti della cittadinanza. E secondo la pratica di molti Paesi, i funzionari pubblici e le celebrità ottengono un livello di protezione un poco più basso rispetto agli altri. Questo avviene perché sono potenti o vicine ai potenti, e quindi rischiano di meno. Le persone normali, invece, rischiano di più.
Ricordo una volta quando un gruppo di giornalisti circondò me e il dottor Henry Kissinger: stavamo parlando in un luogo pubblico. Affrontando i reporter, Kissinger disse loro: “Siamo persone normali e questa è una conversazione privata. Se non ve ne andate vi denuncio”. Una cosa simile avvenne mentre parlavo con l’allora presidente di Taiwan, Chen Shui-bian. Questi avvenimenti mi hanno fatto molta impressione e mi hanno costretto a ragionare sul concetto di protezione dei funzionari pubblici.
Eppure il movimento di pulizia di Xi Jinping non ha l’intenzione di proteggere la popolazione. Anzi, i media comunisti sottolineano con chiarezza che questo movimento intende punire ogni voce messa in circolo contro il governo e i suoi rappresentanti. E le pene sono previste non a seguito di comportamenti chiaramente stabiliti, ma secondo il concetto vago di “pettegolezzi”. Dovremmo capire che questo modo di fare ha un ulteriore motivo.
Qui non si tratta di proteggere i diritti umani della popolazione. Qui si parla senza ombra di dubbio di proteggere i diritti dei funzionari pubblici che violano i diritti civili. Il regime sta cercando di cambiare le carte in tavola, dicendo che fa tutto questo per proteggere il popolo dalla diffusione di voci pericolose. Ma in realtà sta chiaramente proteggendo i suoi membri e il loro diritto illegale di evitare che la loro corruzione venga alla luce.
Il Partito comunista ha proposto una scusa ridicola, sostenendo che una voce su internet è come uno di quei grandi poster che venivano affissi durante la Rivoluzione culturale. In questo modo sostengono che ciò che scrivevano su quei poster era falso: ma è solo un tentativo di imbrogliare le generazioni più giovani, che non li hanno visti e non conoscono la verità. Quei poster erano allora proprio come la libertà di espressione oggi su internet: era impossibile che ogni parola fosse vera.
Ma la maggior parte di quei poster denunciavano la corruzione e i crimini dei burocrati dell’epoca. Con il “movimento dei grandi poster”, Mao Zedong riuscì a rovesciare la classe dei burocrati che, tornata in vita negli anni Ottanta, ovviamente odia quei poster. Le scritte sui muri di quel tempo violavano i loro diritti autoritari e fuori dallo stato di diritto, e per questo non li sopportano. Tuttavia non hanno ancora avuto la faccia tosta di sostenere che le accuse dei poster erano tutte false.
La generazione di Xi Jinping ha più stomaco e meno vergogna dei loro genitori. Arrivano a dire che tutte le accuse della Rivoluzione culturale erano false, era tutto pettegolezzo. E poi si spingono a usare questo assunto come base per attaccare la libertà di parola su internet. È evidente che invece cercano di proteggere la borghesia burocratica e la dittatura mono-partitica, invece dei diritti umani del popolo. Questo approccio di inganni e sostituzioni potrebbe definirsi perfetto.
Quando Xi Jinping ha preso il potere, ha dichiarato in maniera ipocrita che “avrebbe chiuso il potere in una gabbia”. Ora mi chiedo se non sia stato male interpretato dai giornalisti: voleva dire che avrebbe messo i diritti del popolo in una gabbia. Anche perché solo in questo modo si può proteggere la borghesia dei burocrati comunisti.
(AsiaNews)
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